L'intelligenza emotiva a scuola
Cos'è l'intelligenza emotiva?
Negli ultimi anni si è verificata una profonda evoluzione e trasformazione nel modo di considerare, studiare e valutare l'intelligenza. In particolare la visione unitaria o monodimensionale dell'intelligenza è stata in gran parte accantonata, a favore di una concezione più articolata.
La lunga tradizione che prese avvio con la scala metrica d'intelligenza di Binet e con le scale Wechsler, infatti, prevedeva sì la necessità di sondare tutta una serie di abilità cognitive, ma culminava purtuttavia nella formulazione di un quoziente intellettivo (QI), inteso come indice globale di abilità cognitiva del soggetto. Nel corso degli anni '80, invece, sono emersi nuovi modelli teorici in base ai quali è impossibile racchiudere l'insieme delle abilità cognitive all'interno di un costrutto unitario. Per citare solo due esempi, Gardner (1991) ha elaborato la teoria delle intelligenze multiple; Sternberg (1985) ha invece formulato una teoria "triarchica" dell'intelligenza che prevede una distinzione tra intelligenza analitica, creativa e pratica, e che è di particolare interesse per i suoi risvolti operativi in ambito scolastico.
Ma l'innovazione più profonda nel modo di intendere l'intelligenza si è affermata con l'opera di due psicologi americani, Salovey e Mayer (1990), considerati i padri della teoria dell'intelligenza emotiva. I contributi di Gardner e Sternberg, infatti, rimangono all'interno di una concezione dell'intelligenza essenzialmente cognitivista. In altre parole, il ruolo della sfera emotiva nel facilitare od ostacolare i comportamenti intelligenti di tipo cognitivo rimane in secondo piano.
Viceversa. gli studi sull'intelligenza emotiva partono da un assunto fondamentale: il buon funzionamento della nostra mente dipende dal giusto equilibrio tra competenze cognitive e abilità emotive.
La scuola, troppo spesso. si occupa esclusivamente di potenziare la sfera cognitiva (memoria. ragionamento logico ecc.). La componente emotiva non viene adeguatamente educata: di conseguenza, l'incapacità di gestire efficacemente le emozioni rischia di sabotare alla base le nostre abilità cognitive. Scopo dell'intelligenza emotiva, allora, è quello d'insegnare a gestire intelligentemente le proprie emozioni, in modo che siano di supporto e di guida al comportamento e al pensiero. In questo senso, si parla anche di alfabetizzazione emozionale.
Le ricerche sull'intelligenza emotiva hanno permesso di confutare alcuni assunti sbagliati riguardanti il nostro funzionamento mentale. Prima di illustrare le componenti essenziali di questo modello, allora, e importante esaminare questi cambiamenti di prospettiva, che hanno rappresentato una vera rivoluzione nel modo di concepire l'intelligenza.
Tre luoghi comuni sfatati
Predittività del QI
La grande diffusione dei test normativi d'intelligenza in ambito scolastico è stata sorretta dalla convinzione che i risultati di queste prove fossero in grado di far prevedere quali ragazzi avrebbero avuto successo nella carriera scolastica e quali invece avrebbero fallito.
In realtà. tale assunto non ha mai ricevuto conferme definitive nelle numerose ricerche effettuate in proposito. In alcuni casi, sono state ottenute correlazioni sufficientemente positive tra QI e successo scolastico. Tuttavia, in questi casi, sarebbe stato opportuno valutare in che misura i punteggi riportati dai ragazzi nel test d'intelligenza influivano: a) sugli insegnanti, influenzando il loro atteggiamento verso lo studente; b) sugli studenti stessi, agendo sul loro senso di autoefficacia e, quindi, incidendo sul loro impegno nello studio.
In ogni caso, al di là di tali debolezze metodologiche, i coefficienti di correlazione tra QI e risultati scolastici non si sono mai dimostrati molto alti: in altre parole, un Qi molto alto non è assolutamente garanzia di successo scolastico: a livello statistico, possiamo dire che tale previsione può essere accurata in appena il 25% della popolazione. Che succede, allora, al restante 75%? Evidentemente entrano in gioco fattori non inquadrabili all'interno del tradizionale concetto d'intelligenza e non valutabili dai test normativi.
Quando si è deciso di valutare il grado di correlazione tra QI e successo nel mondo del lavoro (capacità di trovare e mantenere un lavoro adeguato) e nei rapporti sociali (capacità di gestire le relazioni familiari, d'amicizia ecc.), i risultati si sono rivelati ancor più deludenti: la correlazione media era di 0.30. In altre parole, i risultati ottenuti nei classici test d'intelligenza permettono una previsione di successo o insuccesso in ambito lavorativo in meno del 10% della popolazione. Infine, quando si è valutato il rapporto tra QI e benessere psicologico a scuola, si sono trovate correlazioni ancora più basse, per non dire nulle.
Separazione tra sfera razionale e s/era emotiva
Per molti anni si è ritenuto che la sfera delle abilità cognitive o razionali fosse nettamente distinta dall'ambito affettivo. In altre parole, si pensava che lo svolgersi dei processi cognitivi fosse guidato esclusivamente dalla corretta applicazione di un serie di strategie e regole procedurali, su cui le emozioni non avrebbero influito in maniera particolare. Questa visione è stata in parte avvalorata dalle prime ricerche condotte in ambito cognitivista: la metafora della mente come computer, infatti, ha contribuito a diffondere un modello di funzionamento cognitivo estremamente freddo, in cui ai fattori emozionali non veniva prestata nessuna attenzione.
Negli ultimi anni, invece, si è iniziato a riconoscere che le emozioni svolgono un ruolo importante in operazioni cognitive quali ad esempio la risoluzione dei problemi o la memorizzazione. Ciò dipende dalla particolare struttura del nostro sistema nervoso centrale (SNC). Vediamo brevemente di cosa si tratta.
La corteccia cerebrale è la sede delle nostre funzioni cognitive più avanzate (ragionamento, capacità di soluzione dei problemi, linguaggio). Dal punto di vista filogenetico, tuttavia, questa struttura deriva da formazioni più antiche (sistema limbico), responsabili delle nostre emozioni (paura, collera, tristezza ecc.). In momenti di particolare emergenza, ad esempio in situazioni avvertite come una minaccia, le strutture più arcaiche del cervello prendono il sopravvento sulle strutture corticali più recenti.
In altre parole, quella parte del cervello che è responsabile delle emozioni è in grado dì inibire od ostacolare il corretto funzionamento della parte deputata al pensiero razionale.
Le "esplosioni emozionali"
Quando siamo colti da intensa emozione, ci arrabbiamo, perdiamo le staffe, al limite mettiamo le mani addosso a qualcuno, ma anche quando ridiamo in modo incontrollato per una barzelletta, probabilmente siamo vittime di un "sequestro neurale" provocato dall'amigdala, un centro del sistema limbico del cervello. Sempre, poi, riflettendo, ci rendiamo conto che la nostra reazione era ingiustificata. L'amigdala ci spinge all'azione mentre la neocorteccia più lenta ma in possesso di informazioni più complete sta preparando il suo piano d'azione più raffinato.
Esempio molto comune: stiamo conversando tranquillamente con un amico per strada, quando un enorme boato avviene alle nostre spalle: il sistema limbico, istintivamente, senza attendere le analisi della corteccia cerebrale (è un aereo, oppure uno scontro, magari una bomba?) ci fa abbassare la testa e magari metterci le mani sopra, in un primordiale tentativo di difesa.
Ciò avviene a causa di una particolare conformazione delle vie nervose che collegano queste due diverse parti del nostro cervello. gli input ambientali percepiti dalla persona vengono in gran parte convogliati verso la corteccia cerebrale, al fine di avere una rappresentazione cosciente di quanto è stato appreso e di emettere la risposta più adeguata. Tuttavia, una minima parte di questi input viene inviata direttamente a specifiche strutture del sistema limbico (in primo luogo, il corpo amìgdaloideo). Tali strutture compiono un'analisi estremamente rapida e parziale (quindi imprecisa) di queste informazioni in ingresso.
Se queste informazioni vengono percepite come segnale di minaccia o pericolo, le strutture limbiche inviano messaggi d'allarme all'intero sistema nervoso, predisponendo l'individuo a una reazione appropriata (ad esempio, attacco o fuga). In questo modo, il nostro corpo e il nostro cervello razionale possono essere travolti da intense emozioni prima ancora che l'analisi più approfondita (e quindi più lenta) compiuta dalla corteccia cerebrale ci permetta di comprendere cosa stia avvenendo.
Questa particolare conformazione del nostro SNC ha indubbi vantaggi evolutivi: permette una reazione rapidissima del nostro organismo in situazioni di pericolo. Infatti, attendere l'analisi della corteccia cerebrale comporterebbe tempi molto più lunghi, col rischio di una reazione
troppo tardiva. Allora, qual è il problema?
In primo luogo, come abbiamo detto, l'analisi compiuta dal sistema limbico è molto imprecisa, poiché si basa su pochi dati informativi. Il rischio, allora, è quello di reagire con una risposta emotiva intensa (ad esempio, di paura o rabbia) nei confronti di situazioni in realtà neutre. In secondo luogo, questa reazione rapida mediata dal sistema limbico dà origine a risposte comportamentali di attacco o fuga che erano adeguate in epoche remote della nostra filogenesi, ma che attualmente sono inutili o addirittura controproducenti .
Quest'analisi della struttura del nostro SNC ci permette di comprendere quegli scoppi improvvisi di collera o di ansia che possiamo notare in alcuni studenti. Si tratta evidentemente di reazioni mediate dal sistema limbico in situazioni avvertite come minacciose: ad esempio, la presenza di un nuovo insegnante dai modi particolarmente bruschi, oppure un commento giudicato sarcastico ad una risposta non corretta.
Quando il cervello viene invaso da queste emozioni molto intense, le nostre abilità cognitive vengono pesantemente sabotate. Ad esempio, la forte attivazione provocata dal sistema limbico altera la normale funzionalità dei lobi prefrontali, deputati alla pianificazione e alla memoria di lavoro. Ecco perché studenti molto ansiosi forniscono pessimi risultati agli esami: la forte attivazione emozionale provoca serie ripercussioni a livello mnemonico. In secondo luogo, anche le capacità d'apprendimento vengono limitate da elevati livelli di ansia.
E evidente, allora, che le potenzialità cognitive dello studente possono essere espresse compiutamente solo se questi riesce a controllare le proprie reazioni emotive.
Il ruolo delle emozioni non e' pero' solamente negativo. Spesso, anzi, le emozioni possono svolgere una funzione importantissima nell'attuazione di comportamenti intelligenti. Vediamo brevemente alcuni esempi. Innanzitutto, se elevati livelli di ansia possono ostacolare la performance scolastica, è anche vero che un certo livello di ansia è addirittura positivo: esso. infatti, permette di mantenere la concentrazione sul compito da svolgere e spinge il soggetto a prepararsi adeguatamente. In altre parole, la totale assenza di ansia potrebbe indurre il soggetto all'apatia e alla mancanza d' impegno nello studio. La capacità di apprendere è direttamente proporzionale al crescere dell'ansia
fino a un certo punto. Superata una data soglia di ansia, però, il rendimento scolastico presenta un brusco crollo.
Un altro esempio ci è fornito dal caso di alcuni soggetti a cui erano state resecate le vie di collegamento tra strutture limbiche e corteccia cerebrale, con conseguenze cognitive disastrose. Pur mantenendo un livello di QI sufficientemente elevato, questi soggetti erano del tutto incapaci di gestire il proprio tempo (si perdevano in dettagli di nessuna importanza) e di prendere decisioni. Da un punto di vista puramente razionale, infatti, siamo in grado di trovare vantaggi e svantaggi in ogni opzione. Di fronte ad alternative razionalmente equivalenti; allora, è la sfera affettiva che ci fa propendere verso quell'opzione che meglio risponde alle nostre preferenze individuali,
Diviene allora fondamentale imparare a gestire efficacemente le proprie emozioni, in modo da potenziare le proprie capacità cognitive e razionali. In questo senso, possiamo riprendere la definizione di Goleman (1996): la gestione delle emozioni diviene una "meta-abilità" in grado di definire le possibilità di utilizzo delle nostre potenzialità cognitive.
Scarsa gestibilità delle emozioni
L'idea che le emozioni siano un fenomeno incontrollabile si accompagna spesso a un'altra radicata convinzione: per il benessere individuale sarebbe fondamentale permettere alle emozioni (negative o positive che siano) una piena espressione.
L'assunto di fondo è che lo sfogo delle emozioni provochi una catarsi salutare a livello fisiologico e psicologico.
In realtà, si tratta dì convinzioni rivelatesi assolutamente infondate. Lo sfogo inadeguato delle emozioni, in particolare di quelle negative, può avere conseguenze disastrose a livello individuale e interpersonale. Ad esempio, l'espressione non controllata della collera produce uno stato di iperattivazione fisiologica che influisce negativamente sulle stesse funzioni cognitive superiori. A livello relazionale, poi, essa preclude la possibilità di rapporti di reciproco aiuto e sostegno tra compagni, spesso fondamentali nei processi d'apprendimento. Considerazioni analoghe potrebbero essere formulate per altre emozioni
Gli studi sull'intelligenza emotiva dimostrano chiaramente che è possibile insegnare un'adeguata gestione delle emozioni, in modo tale che esse facilitino i processi d'apprendimento, anziché ostacolarli. Nel prosieguo di questo articolo illustreremo le dimensioni fondamentali di questo approccio.
Negli articoli successivi, invece, forniremo una serie di spunti pratici per attuare un alfabetizzazione emozionale nella scuola.
Le dimensioni fondamentali dell'intelligenza emotiva
L'intelligenza emotiva si articola fondamentalmente in cinque dimensioni:
1) autoconsapevolezza delle proprie emozioni;
2) capacità di gestire le emozioni;
3) capacità di automotivarsi;
4) percezione dell'esperienza emozionale altrui (empatia);
5) gestione efficace delle relazioni interpersonali.
Vediamo in dettaglio di che si tratta, soffermandoci anche sulle ricadute a livello scolastico di questa classificazione.
Autoconsapevolezza delle proprie emozioni
Abbiamo visto che emozioni molto intense e non regolate sono in grado di inibire i processi mentali superiori, ostacolando il rendimento scolastico dell'allievo. Il primo passo da compiere per gestire efficacemente le emozioni è quello di conoscere approfonditamente la propria esperienza emozionale nel momento in cui inizia.
Può sembrare, a prima vista un'osservazione al limite della banalità. Invece non lo è. Molto spesso, infatti, ci accorgiamo di un'emozione che ci paralizza quando ormai siamo travolti da essa e abbiamo perso ogni capacità di autocontrollo. Quest'evenienza è ancora più frequente nei bambini e nei ragazzi con disabilità, poiché in questi casi la capacita' di controllo degli impulsi è molto limitata. In altre parole, bastano stimoli di bassa intensità (ad esempio un semplice rimprovero da parte dell'insegnante) per scatenare una risposta emozionalmente molto forte (ad esempio una crisi di pianto, un comportamento aggressivo, un'ondata di ansia paralizzante). Queste situazioni, a lungo andare, possono minare il rapporto allievo-insegnante e compromettere il senso di autoefficacia e di autostima del ragazzo, che si sente completamente alla mercé delle situazioni esterne e delle proprie incontrollabili reazioni emotive
Come possiamo intervenire, fornendo al ragazzo un senso di controllo delle emozioni? Il primo passo consiste nell'insegnargli a percepire la propria esperienza emotiva nel momento stesso in cui nasce. In questa fase, infatti, i livelli di attivazione cerebrale sono ancora sufficientemente bassi da rendere possibile un controllo. Viceversa se si attende che il grado d'attivazione s'innalzi oltre una certa soglia, allora le capacità di autocontrollo vengono pressochè annullate.
Ma è possibile identificare precocemente il sorgere di un'emozione? Certo che sì. Dobbiamo solo imparare (e insegnare ai nostri allievi) a individuare e riconoscere quei segnali fisiologici che preannunciano l'erompere di un'emozione negativa.
Ad esempio, un aumento del battito cardiaco, un'accentuata sudorazione delle mani e della fronte nonostante una bassa temperatura corporea ( il cosiddetto "sudar freddo") sono chiari indici di uno stato elevato di ansia. In questi casi, la semplice consapevolezza dell'imminente prorompere dell'emozione negativa può consentirci di escogitare una soluzione al problema. Questa può consistere nel dedicarsi a esercizi di rilassamento, ovvero nel distrarsi cori pensieri e occupazioni piacevoli.
Un discorso simile vale nel caso della collera. Riconoscerne precocemente i segnali (rossore del viso, tensione muscolare ecc.) permette al soggetto di allontanarsi dalla situazione che causa tale emozione, evitando in tal modo di esserne travolto, e di mantenere un approccio razionale ai problemi.
Lo sviluppo di una autoconsapevolezza delle proprie esperienze emotive è insomma la chiave per sfruttare al meglio le proprie capacità cognitive (in primo luogo, la memoria di lavoro).
Un passo fondamentale è anche quello di costruire col ragazzo un vocabolario di termini utili per descrivere l'esperienza emotiva. Molto spesso, infatti, le persone dotate di scarso autocontrollo non possiedono i termini necessari per individuare il proprio stato emotivo. Viceversa, il saper descrivere verbalmente un'emozione ne facilita il controllo, almeno allo stadio iniziale.
Oltre a sviluppare una particolare attenzione nei confronti dei segnali precoci di un'emozione intensa, è importante che il soggetto raggiunga una profonda autoconsapevolezza delle situazioni che sono all'origine di esperienze affettive negative. Talvolta, anche episodi oggettivamente banali possono essere percepiti dall'allievo come un attacco alla sua autostima (ad esempio, una critica avvertita come ingiustificata ed eccessivamente aggressiva). In questi casi, è molto probabile che si scateni una vera e propria "tempesta" emozionale, con esplosioni di rabbia, pianto o ansia. Tali episodi, per giunta, possono risultare del tutto incomprensibili all'insegnante, che non attribuisce alla situazione lo stesso significato del suo allievo.
In questi casi, allora, la consapevolezza del fatto che tendiamo a rispondere a determinate situazioni in maniera esagerata può avere un effetto molto salutare: invece di reagire sfogando in modo violento le nostre emozioni, possiamo fermarci un attimo e chiederci se in effetti la situazione in cui ci troviamo (nell'esempio che abbiamo fatto, la critica dell'insegnante) possa avere un solo significato (ossia un biasimo per la nostra incapacità) ovvero possa aveme anche altri (lo stimolo a fare meglio, proprio in quanto l'insegnante ha fiducia nelle nostre capacità). lì semplice fatto di prendere in considerazione più alternative diverse basta spesso a rendere molto meno probabile l'esplosione emozionale sopra descritta.
Infine, per sviluppare una piena autoconsapevolezza delle nostre emozioni, dobbiamo essere in grado di riconoscere quei pensieri irrazionali e automatici che mediano tra una situazione e l'emozione seguente. Così, per riprendere l'esempio precedente, la critica dell'insegnante può dar luogo a sentimenti di ansia e di bassa autostima solo se viene Intesa in una certa maniera:
" L'insegnante mi critica perché pensa che sono un incapace! ". Viceversa, un'interpretazione differente ("La critica dell'insegnante mi sprona a migliorare e mi indica il percorso da seguire per correggere i miei errori") spianerebbe la strada a un maggiore impegno e a sentimenti più positivi. Questo, ovviamente, a patto che la critica del docente non sia espressa in termini fortemente aggressivi o denigratori.
Capacità di gestire le emozioni
Il fine dell'intelligenza emotiva non è quello di reprimere le emozioni. Oltre a essere un'operazione impossibile, si tratterebbe di una manovra controproducente, Le emozioni, infatti, possono essere un sostegno fondamentale per il nostro pensiero. Si pensi soltanto al ruolo che hanno sentimenti positivi quali l'ottimismo nel motivare la persona a perseguire i propri obiettivi, anche di fronte a difficoltà e momentanei insuccessi.
Il nostro scopo, allora, non dev'essere quello di cancellare le emozioni, ma quello di gestirle efficacemente. Anche se, a causa della struttura cerebrale che abbiamo descritto in precedenza, non possiamo decidere noi quali emozioni provare e quando provarle, possiamo tuttavia arrivare a controllarne l'intensità e la durata.
Ad esempio, in prossimità di un'interrogazione, dei livelli moderati di ansia possono aiutare l'allievo a concentrarsi sul compito, evitando le distrazioni, e a impegnarsi nella preparazione. Però questi sentimenti, se sono troppo intensi e prolungati, finiscono col diventare essi stessi fonte di distrazione, preparando la strada a un esito infelice dell'esame. Questo perché il soggetto, invece di impiegare le proprie risorse cognitive per apprendere, si perde dietro a pensieri del tipo: "Sicuramente non mi ricorderò niente e prenderò un brutto voto"; "Un altro voto negativo potrebbe pregiudicare la mia promozione"; "L'insegnante penserà che non mi sono impegnato abbastanza". Pensieri di questo genere, ovviamente, finiranno col distogliere l'attenzione del ragazzo dal suo obiettivo, creando così le premesse per quel voto negativo che egli teme più di ogni altra cosa. Il risultato del l'esame confermerà al ragazzo la sua incapacità, dando vita a un circolo vizioso molto pericoloso per la sua autostima e il suo senso di autoefficacia.
Diventa allora chiaro quanto sia importante insegnare al ragazzo modalità efficaci per gestire le proprie emozioni. Questo fine può essere raggiunto soprattutto ampliando il numero delle possibili risposte comportamentali a una certa emozione. Ad esempio, nel caso di ragazzi inclini a comportamenti aggressivi, un obiettivo fondamentale è quello di insegnare loro delle strategie comportamentali alternative all'attacco per reagire a sentimenti di collera o frustrazione. Questo può essere fatto trasmettendo loro delle abilità di risoluzione razionale dei conflitti interpersonali.
Capacità di automotivarsi
Vi sono studenti che tendono a perdere la motivazione e l'impegno di fronte alle prime difficoltà e ai primi insuccessi. Ormai da diversi anni, si è visto che la capacità di automotivarsi facilita enormemente i processi d'apprendimento. Una forte motivazione, insomma, permette al soggetto di perseverare nei suoi sforzi anche quando i risultati tardano ad arrivare.
Molte volte, gli allievi con maggiori difficoltà manifestano in realtà una bassa tolleranza delle frustrazioni: se i risultati immediati non sono pari alle loro aspettative, tendono a gettare subito la spugna. Un ruolo fondamentale in questo processo sembra giocato da pensieri del tipo:
"Ecco, proprio come pensavo! Nonostante i miei sforzi non arrivo a nulla; meglio lasciar perdere!.". A seconda del ragazzo, potremo trovarci di fronte a sentimenti di rabbia, di rassegnazione o altro. In ogni caso il grado di autostima sarà profondamente intaccato.
E allora importante insegnare agli allievi a sviluppare un pensiero positivo, orientato all'ottimismo e improntato alla convinzione di poter raggiungere determinati risultati. La chiave di volta risulta essere, in definitiva, il potenziamento del scuso di autoefficacia. Com'è possibile, operativamente, raggiungere questo obiettivo? Lo vedremo nei prossimi articoli.
Percezione dell'esperienza emozionale altrui (empatia)
Nei rapporti interpersonali tra allievi, o tra allievi e insegnanti, si verificano frequentemente delle difficoltà Questi problemi sono rintracciabili in ogni ordine di scuola. Ovviamente, si tratta di problemi che hanno profonde ripercussioni negative sul benessere psicologico degli allievi e sulle loro capacità d'apprendimento.
La causa di queste difficoltà è spesso l'incapacità di cogliere 1'esperienza emozionale altrui. Ad esempio, molti ragazzi aggressivi attribuiscono ai comportamenti neutri (o addirittura concilianti) dei loro compagni un significato ostile: la volontà di umiliare o di attaccare subdolamente. E' palese che, in casi come questi, la probabilità che abbiano luogo risposte violente diventa molto alta. Non solo: i ragazzi attaccati, a loro volta, tenderanno a reagire in modo aggressivo, finendo così col chiudere il cerchio.
La capacità di leggere i sentimenti altrui sta alla base della capacità di aiutare i propri compagni: si tratta cioè della condizione essenziale per avviare programmi di apprendimento cooperativo in classe. In questi casi, allora, diventa fondamentale avviare una precoce educazione al riconoscimento delle emozioni altrui.
Ad esempio, si può chiedere ai bambini di osservare fotografie di volti, invitandoli a immaginare quali pensieri e quali emozioni stia provando il soggetto ritratto.
Gestione efficace delle relazioni interpersonali
Molto spesso, all'origine di profonde difficoltà scolastiche è possibile rinvenire l'incapacità di instaurare e mantenere buone relazioni interpersonali. Questo è evidente soprattutto nei bambini e nei ragazzi molto aggressivi o molto timidi: in entrambi i casi, il loro comportamento finisce con l'isolarli dal gruppo. Tale condizione, ovviamente, rafforza le loro difficoltà relazionali.
Inoltre, lo stesso insegnante incontra dei problemi nell'integrare questi ragazzi nel gruppo e nel coinvolgerli in lavori comuni. La difficoltà interpersonale, (li conseguenza, sfocia facilmente in una carenza di rendimento scolastico.
Diviene allora un imperativo irrinunciabile insegnare una serie di abilità interpersonali, quali:
esprimere le proprie difficoltà;
Un prerequisito fondamentale per gestire efficacemente le relazioni risiede nella capacità di distinguere i comportamenti altrui dalle nostre interpretazioni di essi. Nel paragrafo precedente si è visto che spesso il ragazzo violento non reagisce a veri e propri comportamenti aggressivi, ma al suo modo d'interpretare quei comportamenti.
Obbiettivo primario dell'educazione emozionale, allora, è quello d'insegnare a distinguere nettamente i fatti dai nostri peculiari punti di vista. Ad esempio, invece di dire "La tua aggressività è insopportabile", potrebbe essere più corretto affermare: "Questo tuo specifico comportamento è per me fastidioso". In altre parole, si tratta di insegnare al ragazzo ad assumersi la responsabilità delle proprie emozioni nel rapporto con gli altri. Invece di usare il pronome "TU" "Tu mi fai continuamente arrabbiare", occorre passare a un uso più frequente del pronome "io" "Io mi arrabbio spesso in presenza di certi eventi ".
Si tratta, in definitiva, di sostituire comportamenti aggressivi " Io ho ragione e tu torto " o passivi "Se le cose vanno male è colpa mia ", con atteggiamenti assertivi " Rispetto i tuoi diritti e desideri, ma anch'io ho i miei diritti. Cerchiamo insieme una soluzione soddisfacente per entrambi ".
E' possibile insegnare l'intelligenza emotiva?
L'interrogativo espresso nel titolo che avete appena letto è d'importanza fondamentale. E la risposta è affermativa. Il grande contributo fornito dagli studi sull'intelligenza emotiva, infatti, risiede nell'aver articolato un termine spesso ambiguo e astratto, quale quello d'intelligenza, in cinque dimensioni fondamentali (già citate alla pag.4). Per ognuna di esse si sono individuate specifiche e concrete abilità.
Ad esempio, l'autoconsapevolezza delle proprie emozioni (dimensione n.1) prevede la padronanza delle seguenti abilità:
Si tratta, chiaramente, di competenze che possono essere insegnate agli allievi fin dai primi anni di scuola. Anzi, più precoce risulta l'alfabetizzazione emozionale, maggiori sono i risultati che è possibile raggiungere.
Per ogni età è possibile prevedere una serie di esercizi, volti a sviluppare queste abilità.
Questo tipo d'insegnamento risulta indicato soprattutto nelle fasi di transizione da un grado di scuola all'altro; ad esempio, nel passaggio dalla scuola elementare alla media, oppure da quest'ultima alle superiori. In questi momenti, infatti. il ragazzo deve adattarsi a un ambiente completamente sconosciuto e a nuove richieste educative. Eventuali difficoltà iniziali, allora, rischierebbero di gravare negativamente sul suo senso di autoefficacia e di compromettere così tutto il percorso scolastico successivo.
L'intelligenza emotiva consiste nella capacità di gestire le proprie emozioni in modo tale che supportino i processi cognitivi (memoria, ragionamento logico, soluzione di problemi ecc.). Viceversa, quando vi è un carente controllo emotivo, le nostre abilità di studio e d'apprendimento vengono radicalmente boicottate.
La base per giungere ad una corretta gestione delle emozioni (soprattutto di quelle negative quali la rabbia, l'ansia ecc.) è costituita da un adeguato livello di autoconsapevolezza della propria esperienza emozionale.
Nel corso delle presenti note vedremo come arrivare ad essere più consapevoli delle proprie emozioni.
Sebbene possa sembrare paradossale molto spesso la consapevolezza delle proprie emozioni è limitata o addirittura assente. Vediamo due semplici esempi:
1) In numerose occasioni capita di osservare studenti ben preparati che falliscono in maniera sorprendente al momento dell'esame. Come spiegare tali situazioni? Le ragioni potrebbero essere molte, ma è probabile che siano stati alti livelli di ansia a compromettere la performance del ragazzo. Il problema in questo caso, risiede nel fatto che lo studente non è pienamente consapevole dei suoi alti livelli dì ansia, i quali spesso originano dei pensieri automatici negativi.
("Sicuramente non riuscirò a superare l'esame", "Se dovessi riportare un voto negativo, tutti penserebbero che sono un incapace" ecc.).
L'ansia derivante da questo dialogo interno finisce col boicottare le abilità cognitive dello studente (a partire dalla memoria), come è stato descritto in precedenza. Se invece il ragazzo raggiungesse una tempestiva consapevolezza di queste emozioni e dei pensieri che le alimentano, potrebbe mettere in atto una serie di contromisure. Ad esempio:
a) potrebbe attuare esercizi di rilassamento, volti ad abbassare i livelli dì ansia. in modo tale da preservare l'efficacia delle proprie capacità cognitive;
b) potrebbe sviluppare strategie per aumentare i propri livelli di tranquillità (ad esempio, focalizzando l'attenzione su pensieri piacevoli);
c) infine, potrebbe contrastare i pensieri negativi. sviluppando un dialogo interno più adeguato ("Mi sono preparato a sufficienza e riuscirò a rispondere alle domande" ecc.).
2) Vediamo adesso un secondo esempio. Quante volte capita dì osservare studenti (ma anche adulti) che reagiscono in maniera aggressiva a situazioni che apparentemente non giustificano quella risposta? Si tratta spesso di comportamenti generati da improvvisi attacchi di collera. Anche in questo caso, la scarsa consapevolezza gioca un ruolo determinante nel permettere l'esplosione dell'ira. In altre parole. il ragazzo non ha un'adeguata consapevolezza:
a) del significato negativo che attribuisce alla situazione. Come vedremo più avanti, non sono mai gli eventi in sé che determinano le nostre intense emozioni negative, ma il modo in cui attribuiamo significato agli eventi:
b) dei primi segnali (comportamentali e fisiologici) clic segnalano il prorompere dì un'emozione difficilmente controllabile.
La consapevolezza di questi aspetti permette di evitare la risposta collerica, modificando il significato negativo attribuito alla situazione, oppure attuando strategie (ad esempio, il rilassamento) volte a bloccare sul nascere l'emozione negativa.
In entrambi gli esempi analizzati, la scarsa consapevolezza delle proprie emozioni implica una compromissione delle potenzialità cognitive (come nel primo esempio) e/o relazionali (nel secondo caso).
La strada per una maggiore autoconsapevolezza emotiva
Quando impariamo ad essere consapevoli delle nostre emozioni, siamo in grado di utilizzarle al fine di potenziare le nostre capacità di studio e d'apprendimento. nonché la qualità delle nostre relazioni. Per ottenere ciò dobbiamo imparare a monitorare le diverse componenti che costituiscono l'esperienza emotiva:
1) i dati sensoriali (ossia cosa percepiamo);
2) i pensieri con cui attribuiamo significato a quanto percepito;
3) 1'emozione vera e propria;
4) le alterazioni del nostro corpo;
5) i comportamenti dettati dalla nostra emozione.
Nella fig. 1 viene illustrato il modo in cui normalmente interagiscono queste componenti.
Come si può vedere, l'emozione negativa viene mantenuta da un circolo vizioso. In altre parole le alterazioni fisiologiche ed i comportamenti aggressivi indotti dalla collera finiscono con l'aumentare la stessa emozione. Questa struttura ci permette di individuare almeno quattro punti per intervenire, al fine di gestire efficacemente l'emozione collerica:
1) possiamo, in primo luogo, controllare se abbiamo raccolto tutti i dati informativi a nostra disposizione. Potremmo ad esempio scoprire che, oltre ad invitarci a porre più attenzione nella lettura del brano, l'insegnante ha comunque lodato altri aspetti del nostro lavoro;
2) possiamo attribuire un significato alternativo all'evento. Ad esempio:
"L'insegnante mi incita a fare meglio, in quanto ha fiducia nelle mie possibilità",
3) possiamo abbassare i livelli di tensione corporea, in modo tale clic non alimentino l'emozione negativa.
4) infine, possiamo attuare strategie comportamentali per attenuare la rabbia e ristabilire un rapporto costruttivo con l'insegnante (ad esempio, facendo notare il nostro impegno e chiedendo dei consigli più circostanziati su come migliorare).
Prima di attuare questi interventi, però, dovremo aver raggiunto una completa consapevolezza del processo emotivo nelle sue cinque fasi. Vediamo come questo sia possibile.
La consapevolezza dei nostri sensi
Le emozioni più intense sono spesso la reazione a situazioni estremamente complesse. I nostri cinque sensi raccolgono una quantità enorme di dati ogni secondo, ma solo una minima parte di queste informazioni viene elaborata consapevolmente. Di conseguenza, in molti casi le nostre reazioni emotive sono dovute al fatto di aver posto attenzione solo ad alcuni dati, trascurandone altri molto rilevanti. Un primo passo importante allora, lungo la strada dell'autoconsapevolezza è quello di ampliare al massimo lo spettro di informazioni sensoriali che siamo in grado di analizzare.
La capacità di allargare il focus della propria attenzione può essere sviluppata ed esercitata.
I problemi connessi alla consapevolezza delle proprie esperienze sensoriali non riguardano solo la possibilità di perdere dati rilevanti, ma anche il rischio di confondere fra i dati dell'esperienza sensibile e le valutazioni che successivamente vengono compiute dal soggetto.
Molto spesso non ci accorgiamo dell'esistenza di questa distinzione e consideriamo come dati di fatto quelle che sono nostre valutazioni soggettive. Termini come "aggressivo". "prepotente", "egoista" ecc., sono pronunciati con estrema frequenza in contesti interazionali ricchi come quelli scolastici. Il problema è che spesso tendiamo ad assumere queste etichette verbali come se fossero informazioni fornite dall'esperienza diretta e non valutazioni soggettive, che talvolta si rivelano fallaci.
Anche in questo caso, è possibile imparare a distinguere nettamente tra dati informativi e valutazioni personali.
Ma qual è il problema di compiere delle valutazioni e delle inferenze su quanto si osserva? In fondo, la capacità di compiere astrazioni e formulare giudizi è indice della nostra complessità cognitiva. Il problema è che spesso le nostre inferenze possono essere fallaci, portando a conseguenze profondamente negative nei rapporti con gli altri.
In che modo possiamo evitare di compiere inferenze sbagliate? Cercando di raccogliere il maggior numero possibile di informazioni.
Formulare giudizi in base a pochi dati è spesso un errore cognitivo che l'allievo compie nei propri confronti. Ad esempio, di fronte ad un voto negativo potrebbe concludere "Sono un incapace". Si tratta di una generalizzazione non giustificabile, soprattutto in presenza di altri dati che potrebbero essere raccolti, come ad esempio:
"In passato sono stati ottenuti voti positivi nella stessa materia";
"Questa volta non c'è stata la possibilità dì prepararsi sufficientemente, a causa di altri impegni improvvisi".
Individuare i pensieri responsabili delle emozioni
Le nostre emozioni sono spesso il risultato del significato che attribuiamo agli eventi. In questo senso, allora, la causa principale dei nostri stati emotivi va ricercata nei pensieri che formuliamo in determinate situazioni.
Di conseguenza, se vogliamo gestire efficacemente le nostre emozioni dobbiamo imparare a riconoscere e, quando necessario, modificare questi pensieri.
Generalmente sono detti "pensieri automatici" in quanto tendono ad essere elicitati in maniera così veloce in certe situazioni, che la persona non è consapevole di essi. La pericolosità di questi processi cognitivi si manifesta pienamente quando essi si caratterizzano in termini fortemente negativi. Ad esempio, molti studenti reagiscono con forte ansia a situazioni d'esame perché formulano un dialogo interno improntato al pessimismo: "Sicuramente sbaglierò, non mi ricorderò nulla e andrò incontro all'ennesimo fallimento".
Questi pensieri (spesso irrazionali e non giustificati) inducono altissimi livelli di ansia che, come già detto, finiscono col compromettere le capacità mnemoniche del ragazzo, esponendolo realmente al fallimento. In questo modo, i pensieri trovano una significativa conferma e, in futuro, tenderanno a ripresentarsi con maggiore probabilità.
Dì conseguenza, diviene fondamentale individuarli tempestivamente e contrastarli. In che modo? Innanzitutto, possiamo individuare alcune caratteristiche tipiche e distintive dei pensieri 'automatici":
1) presentano delle generalizzazioni indebite ("Poiché ho fallito una volta, fallirò sempre"),
2) si esprimono tramite etichette globali ("Sono un incapace");
3) esagerano l'aspetto negativo di un evento ("Quel brutto voto è una vera tragedia");
4) si manifestano con estrema velocità e non a seguito di un ragionamento logico;
5) tendono a generare nuovi pensieri automatici ("Ho fallito in questo esame, quindi avrò problemi a preparare anche i prossimi esami, di conseguenza anche in quelle materie finirò col riportare brutti voti, "ed allora tutti penseranno che sono un incapace").
Tuttavia, è possibile ricorrere ad una strategia al contempo semplice ed efficace per individuare questi pensieri. Si tratta di una procedura ampiamente applicata anche in ambito clinico, con risultati molto interessanti. Vediamo di che si tratta nell'esercizio seguente.
ESERCIZIO - SCOPRIAMO I PEnsieRI AUTOMATICI
Questo esercizio può essere svolto individualmente o a coppie; in questo caso, uno dei due studenti avrà il ruolo dell'intervistatore, mentre l'altro risponderà alle domande.
I ragazzi sono invitati a rammentare una situazione in cui hanno risposto in maniera emotivamente molto intensa (ad esempio, con rabbia o tristezza).
E necessario descrivere con molta precisione sia la situazione sia l'emozione corrispondente. A questo punto, gli studenti vengono invitati a porsi la seguente domanda: "Perché ho reagito con rabbia (o tristezza, o ansia ecc.) a quella situazione?". Spesso, le persone non sono abituate a porsi questo interrogativo, in quanto ritengono che l'emozione sia una conseguenza diretta della situazione Per questo motivo, sarà necessario spingere i ragazzi a fornire comunque una risposta, per quanto possa sembrare difficile. Individuata una risposta, potrebbe essere necessario
poisi 1>iiì vc>lte la domanda "Per(hé?" al fine d'individuare> il pensiero in grado di provocare l'emozione in questione.
Vediamo con un esempio come può essere svolto questo esercizio. Immagini amo che un ragazzo riferisca di aver provato una forte rabbia la volta in cui un suo compagno non gli ha portato un libro promesso. Riportiamo di seguito le domande e le risposte che il ragazzo si pone per individuare il pensiero automatico.
DOMANDA, Perché quella situazione mi ha provocato rabbia?
RISPOSTA. Perché mi aspettavo che mi portasse il libro che gli avevo chiesto!
D.. E perché il fatto che non abbia soddisfatto una mia richiesta mi fa arrabbiare?
R. Perché significa che non pone attenzione o non ricorda quello che gli dico.
D. E perché il fatto che non ponga attenzione alle mie richieste mi fa arrabbiare?
R. Perché vuol dire che non gli importa nulla di me e mi è ostile!!!
Attraverso questo dialogo interiore. il ragazzo è arrivato ad individuare il pensiero responsabile della sua collera. A questo punto dell'esercizio, si può verificare se esso presenta le caratteristiche tipiche dei pensieri automatici. Nell'esempio il pensiero descritto:
a) presenta una generalizzazione ("Poiché si dimentica ciò che gli chiedo, vuol dire che non gli importa nulla di me");
b) si esprime con etichette globali ("E' ostile nei miei confronti").
In questo modo, quindi abbiamo scoperto un pensiero automatico potenzialmente in grado di scatenare altre risposte colleriche in situazioni apparentemente banali. Nei prossimi articoli, vedremo come è possibile procedere ad una confutazione di questi pensieri e ad una loro sostituzione con altri più positivi.
Monitorare il proprio corpo
I primi segnali del sorgere di un'emozione intensa si manifestano soprattutto a livello corporeo;
1) incremento del battito cardiaco;
2) ritmo respiratorio accelerato;
3) aumento di sudorazione ecc.
Sì tratta di alterazioni che, con maggiore o minore intensità, tendono a presentarsi in ogni tipo di emozione (dalla collera all'ansia). Troppo spesso, però, ignoriamo questi segnali; così, ci precludiamo la possibilità di individuare tempestivamente l'insorgenza di un'emozione intensa, in modo tale da poterla gestire.
Viceversa, se impariamo a monitorare attentamente il nostro corpo, saremo in grado di:
a) individuare sul nascere un'emozione negativa, mettendo in atto tutte le strategie (cognitive, comportamentali ecc.) necessarie a contenerla;
b) modulare le stesse alterazioni corporee, così che non vadano ad alimentare l'emozione, secondo quel circolo vizioso che abbiamo descritto precedentemente.
Anche la consapevolezza del proprio corpo è un'abilità che può essere utilmente appresa e sviluppata. A tal fine viene indicato un semplice esercizio.
Prestare attenzione ai propri comportamenti
Le nostre emozioni più, intense normalmente si esprimono attraverso comportamenti anche eclatanti. Spesso le emozioni negative danno vita a comportamenti estremamente controproducenti per il proprio benessere soggettivo e per la qualità delle relazioni interpersonali (si pensi solamente ai comportamenti aggressivi prodotti dalla collera).
L'obiettivo, allora, è quello di monitorare costantemente le nostre azioni, in modo tale che non sfocino in comportamenti incontrollabili. Facciamo alcuni esempi.
1) La paura della scuola spesso dà vita a comportamenti di fuga e di evitamento (ad esempio, lamentazioni somatiche per rimanere a casa). Tuttavia, questi comportamenti, non permettendo il confronto con la situazione temuta, finiscono solamente per rinforzare lo stato d'ansia.
2) Un rimprovero da parte dell'insegnante può scatenare nell'allievo risposte colleriche che, se manifestate direttamente, contribuiscono solamente a convincere l'insegnante dell'impossibilità a trattare con un ragazzo così indisciplinato.
3) L'ansia di prendere un voto negativo può produrre, nel ragazzo interrogato, una serie di comportamenti tipici, come ad esempio la voce tremante, le spalle incurvate, lo sguardo rivolto a terra ecc.
Questi segni possono essere interpretati dall'insegnante come paura dovuta ad una scarsa preparazione. A questo punto, aumenta moltissimo la possibilità del voto negativo temuto.
Per quanto possa sembrare paradossale, spesso non siamo totalmente consapevoli dei nostri comportamenti, almeno finché non si manifestano compiutamente.
Ad esempio, il ragazzo interrogato è così concentrato sulla propria paura, che non si accorge della postura del corpo.
Conseguentemente, diviene necessario imparare a conoscere meglio i nostri stili di comportamento in situazioni fortemente ansiogene.
Per concludere: le emozioni lavorano a favore dei nostri obiettivi?
In precedenza è stato evidenziato che le emozioni possono essere gestite efficacemente, in modo tale che favoriscano il raggiungimento degli obiettivi individuali. Quando ci si è allenati nel monitorare i cinque aspetti fondamentali dell'esperienza emozionale (dati informativi, pensieri, emozioni, alterazioni somatiche e comportamenti), si può valutare in che misura essi favoriscano, ovvero ostacolino, il raggiungimento dei propri obiettivi.
Ad esempio, abbiamo già accennato al fatto che la paura dell'esame produce una serie di cambiamenti (a livello corporeo e fisiologico) che pregiudicano la possibilità di raggiungere i propri obiettivi (ottenere un voto positivo).
La scheda seguente permette di evidenziare in maniera immediata il rapporto tira esperienza emozionale e raggiungimento degli obbiettivi.
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Dimensioni dell'esperienza emozionale |
La dimensione ostacola o favorisce il raggiungimento dell'obbiettivo? |
Obbiettivo |
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Situazione percepita: L'insegnante mi ha rimproverato. Pensieri: E' sempre aggressivo nei miei confronti e non riconosce il mio impegno. Emozione: Collera.
Alterazioni somatiche: Tensione muscolare, respiro affannoso, viso paonazzo ecc.
Comportamenti: Gli rispondo per le rime. |
Ostacola: Ci si concentra solo sul rimprovero. Ostacola: Induce ad etichettare l'insegnante come aggressivo e non disposto al dialogo. Ostacola: L'emozione negativa aumenta il livello di attivazione fisiologica, precludendo le possibilità di autocontrollo. Ostacola: Queste alterazioni inducono una sensazione di collera ancora più forte ed incontrollabile. Ostacola: Il comportamento in questione farà apparire il ragazzo come indisciplinato ed aggressivo. |
Obbiettivo desiderato: Voglio spiegare all'insegnante le mie ragioni.
Risultato raggiunto: L'insegnante si convince che lo studente è indisciplinato e tenderà a rimproverarlo ancore più spesso. |
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Dimensioni dell'esperienza emozionale |
La dimensione ostacola o favorisce il raggiungimento dell'obbiettivo? |
Obbiettivo |
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Situazione percepita: L'insegnante mi ha rimproverato, ma spesso ha lodato il mio lavoro. Pensieri: Mi sprona ad impegnarmi di più.
Emozione: Provo una leggera collera, in quanto preferirei comunque non essere ripreso perché ritengo di essermi impegnato.
Alterazioni somatiche: Leggera tensione muscolare, respiro appena accelerato.
Comportamenti: Gli rispondo per le rime. |
Favorisce: Si analizzano tutti i dati a disposizione.
Favorisce: Si tratta di un pensiero positivo, che favorisce emozioni costruttive. Favorisce: L'emozione negativa, anche se presente, viene modulata in modo tale da essere meglio gestita.
Favorisce: Le alterazioni sono limitate, così che non vanno ad alimentare la collera. Lo studente si sente più tranquillo. Favorisce: Il comportamento apre la strada ad un colloquio costruttivo (ovviamente se c'è disponibilità da ambo le parti). |
Obbiettivo desiderato: Voglio spiegare all'insegnante le mie ragioni.
Risultato raggiunto: Si può stabilire un dialogo costruttivo, basato sul reciproco rispetto. |
Tratto da D. Fedeli "Psicologia e Scuola" Giunti Ed.
D. Goleman "Intelligenza emotiva" Bibl. Univ. Rizzoli Saggi (di cui si consiglia la lettura)
Rielaborato liberamente da
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